Nunzia, “per catcalling non uscivo più, oggi a mia figlia insegno a combattere, a mio figlio il rispetto”
Da quando Aurora Ramazzotti l’ha denunciato sui social è diventato (fortunatamente) virale. Nunzia Baiano, 25 anni e mamma di due bambini, testimonia la sua traumatica esperienza come vittima di catcalling
Continuano a dire ‘tanto sono due fischi’. Invece no. Per questo finora non ho voluto raccontare tanto quello che è successo, piuttosto quello che ho provato. Da ragazzina facevo una strada per tornare a casa, dopo scuola. Frequentavo le medie. Un giorno camionista mi ha suonato. Mi spaventai molto, sai, all’improvviso senti un clacson. Poi dopo il suono arrivarono le frasi. Quella strada non l’ho fatta più”.
Annunziata Baiano, Nunzia per gli amici, oggi ha 25 anni. Di origini campane, abita a Carmagnola, in provincia di Torino, ed è mamma di una bambina e un bambino. Gestisce una pagina Instagram molto apprezzata dalle mamme e nel weekend aiuta il compagno nella pizzeria “Il Re Leone” (visita il profilo Instagram e la pagina Facebook). Un compagno che condivide con lei il lavoro e le faccende domestiche, dalla spesa ai pannolini. Un compagno che la ama, la rispetta.
“Non ricordo di preciso cosa mi disse quell’uomo, non ricordo neanche il suo viso – continua al di là della webcam, a tratti timida a tratti combattiva, gli occhi di chi sta scavando nell’anima tra i ricordi – ma non è tanto quello che ti dicono, piuttosto come lo dicono. Conta quello che provi. E io ricordo bene quello che provai in quel momento. Mi sono sentita incredula, a disagio. Tutti vediamo la bellezza in qualcuno, di certo non mi sono mai permessa di fischiare o urlare frasi per strada. Perché, allora, tu uomo ti prendi la libertà di farlo?”.
Si chiama “catcalling”, che letteralmente dall’inglese significa “chiamare il gatto”. È un termine mediatico tornato in voga negli ultimi tempi, in particolare dopo che Aurora Ramazzotti ha fatto un video virale in cui testimoniava di esserne vittima. Ma cosa significa subire catcalling? Dal sito dell’Accademia della Crusca si legge: “la parola catcalling nomina una serie di atti (complimenti non richiesti, commenti volgari indirizzati al corpo della vittima o al suo atteggiamento, fischi e strombazzate dall’auto, domande invadenti, offese e perfino insulti veri e propri) che, in quanto ritenuti espressione di una mentalità sessista e svalutante, costituiscono un tipo specifico di molestia sessuale e di molestia di strada”.
“Ho ripercorso quella strada dopo molti anni – continua Nunzia – di preciso qualche tempo fa, con mia suocera e i bambini. All’inizio mi sono sentita in pericolo, poi mi sono tranquillizzata, soprattutto perché c’erano i miei figli. Loro mi mettono addosso un senso di potere, pur di difenderli farei di tutto. Non mi spaventa reagire. A differenza di quel giorno, in cui ebbi molta paura e non feci nulla, perché non puoi mai sapere come reagiscono a loro volta le persone. Magari dopo quel fischio ti arrabbi e rispondi, ma che ne sai se quello scende dal camion e ti fa qualcosa? Al telegiornale si sentono tante cose”.
Sì. Perché ormai sembra che donna sia uguale a violenza e femminicidio. Troppe volte in cui sentiamo parlare di donne vengono associate loro termini come “violenza”, “discriminazione”, “morte”, “paura”, “fragilità”. Ed è pure comprensibile che se ne parli, visto che tutto cambia tranne il numero dei femminicidi, vale a dire di uccisioni di donne commesse in nome di una cultura di matrice patriarcale. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eures, in Italia nei primi 10 mesi del 2020 sono stati commessi 81 femminicidi. Ottantuno. E il lockdown, dovuto alla pandemia da covid, ha triplicato gli omicidi di donne (per saperne di più)
“Lì per lì non capii la gravità. Perché quando sei ragazzina vedi le cose con ingenuità, non ci arrivi a certe cose. Crescendo sì. Per molto tempo non uscii più di casa. E quando sono uscita di nuovo l’ho fatto con la paura di essere inseguita, paura di essere adescata, fermata, violentata. Perché, ripeto, si parte da un fischio, da una parola e non si sa mai dove si va a finire”.
Eppure, le donne non sono solo questo. Le donne sono anche coraggio. Forza, combattimento, protezione, lavoro, carriera, divertimento, amore, sesso, spirito libero. E ancora viaggi, parole, abbracci, abiti di ogni genere. Perché sì, ogni donna è libera di essere, di dire e di vestirsi come vuole. O almeno, dovrebbe essere così.
“Sai, il problema in fondo non sono neanche i fischi e le frasi – specifica Nunzia – frasi che, dette da un coetaneo, con galanteria, potrebbero essere anche dei semplici complimenti. I miei genitori sono napoletani, spesso da ragazzina andavamo a trovare i nonni. E io, che venivo da Torino, non ero abituata ai complimenti e al corteggiamento. Al Sud, invece, i ragazzi sono molto più calorosi. È una bella cosa. Ma ci sono modi e modi, situazioni e situazioni”.
Per esempio se quello che bussa il camion può essere tuo padre. O tuo nonno. Ci sono uomini, che non andrebbero neanche chiamati così, che magari non fischiano, non suonano il clacson e non dicono nulla. Ma ti guardano, ti fissano. Maliziosamente. Ti spogliano, ti penetrano nell’anima, ti invadono, ti violentano. Con sguardi che vorresti cancellare, che magari dopo senti il bisogno di farti una doccia perché ti senti sporca. Ci sono uomini che ti inseguono. Ubriachi o sobri, sotto effetto di stupefacenti o di testosterone.
Uomini che in spiaggia ti fotografano il culo, che ti aspettano vicino alla macchina, che imparano i tuoi orari e ti aspettano agli angoli delle strade. E passa il tempo, provi a ignorarli e a cambiare quelle strade, o abitudini, magari provi anche a cambiare abbigliamento, perché poi “è pericoloso, meglio evitare”, dicono. Ti ritrovi a cambiare tu. Poi un giorno, esasperata, dici basta. E affronti chiunque si permetta di fare questo, costi quel che costi.
“Ogni volta che combatto per qualcosa mi viene detto che faccio parte di una generazione che non sopporta più niente – continua Nunzia – ‘i divorzi finiscono perché le donne non sopportano più niente’, dicono. È questo il punto: esatto, noi non vogliamo più sopportare. Perché donna non è uguale a sopportazione! ‘Sei femminista’, mi ripetono con disprezzo, con la speranza che io possa cambiare opinione. Ma io non sono femminista. Sono per la parità, perché siamo uguali”.
Loquace da piccola, appassionata di scrittura e fotografia, da adolescente si è chiusa in un mondo di timidezza. Forse perché è cresciuta, forse per le prime esperienze d’amore, forse per quelle esperienze che, seppur brevi, ti cambiano la vita. Ma Nunzia non si è arresa. Oggi è felice e mamma di due splendidi bambini. “Quando mi hanno detto che la prima era femmina ci sono rimasta. E adesso, che faccio? Mi sono chiesta. La sfida era troppo grande, per noi donne nel mondo è tutto più difficile. Poi una mia amica mi ha fatto ragionare: saprai cosa insegnarle, mi ha detto. Così quando ho saputo che il secondo era maschietto mi sono chiesta la cosa contraria: quanto sarà grande la sfida di educarlo? Ora sono tranquilla. A mia figlia insegno a combattere, a mio figlio insegno il rispetto. Non m’importa di quello che dicono gli altri”.
Effettivamente, che senso ha la parola ‘femminista’? Riflettiamo, l ’uomo che si batte per i propri diritti non viene incasellato in una categoria. “E’ così, anche per l’educazione – conclude Nunzia – di tutto quello che facciamo da grandi vengono incolpate o lodate solo le donne. Ma non corrisponde alla realtà. La mamma e il papà sono entrambi responsabili dell’educazione dei propri figli. E l’educazione dei genitori è fondamentale, sia per le bambine che per i bambini”. Anche per combattere il catcalling.
Miraja
giornalista del ventre
“Storie che arrivano alla pancia delle persone”
Sei stata bravissima nel comprendermi. Grazie ancora per l’opportunità bellissima che mi hai dato. Grazie, grazie!
Grazie a te, cara Nunzia, la tua testimonianza per noi donne è molto importante! Facciamo rete, soprattutto squadra♡
Pingback: N.15: ognuno ha il diritto di uscire e ritirarsi all’ora che vuole, senza paura di essere molestato – Desert Miraje™
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