L’infermiere non è solo un lavoro per donne: la storia di Domenico
Chi ha detto che l’infermiere è solo un lavoro per donne? La storia di Domenico dimostra il contrario e da qualche anno le cose sembrano essere cambiate per il meglio, complice anche la pandemia
Si chiama Domenico Picano Di Tucci, ha 26 anni ed è affezionatissimo alla sua città d’origine Gaeta, ma da un po’ di anni vive anche a Sora, un comune in provincia di Frosinone che ospita la sede distaccata del corso di studi in Infermieristica dell’Università Tor Vergata a cui è iscritto.
Una passione arrivata un po’ per caso, come mi spiega anche lui: “ci sono state una serie di combinazioni che mi hanno condotto al ramo sanitario e mi hanno fatto appassionare alla figura dell’infermiere.”
Domenico è sempre stato una persona che si butta in mille nuove esperienze: la prima volta che ci siamo conosciuti, infatti, era in occasione di uno scambio interculturale in Bielorussia organizzato da un’associazione della zona.
Anche per la scelta di intraprendere da zero un percorso di studi si è buttato, nonostante sapesse delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare: “è un percorso impegnativo sia dal punto di vista teorico che pratico, visto che le professioni sanitarie non prevedono solo lezioni ed esami ma anche tante ore di tirocinio”.
Ebbene sì: l’infermiere non è solo un lavoro per donne. A sceglierlo, sono anche tanti ragazzi, nonostante il primato resti alle donne, che storicamente sono più incoraggiate dalla società a scegliere professioni che riguardino i campi della cura o dell’insegnamento: secondo un’indagine del Fnopi (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) il 77% degli iscritti nelle facoltà sanitarie è di genere femminile, sebbene a poche di esse vengano affidati incarichi di responsabilità.
Eppure, come mi spiega Domenico, sembra che le cose stiano cambiando col tempo: “a partire dagli anni ’70 è stato aggiornato il vecchio decreto ministeriale che rendeva accessibili le scuole professionali di infermieristica solamente alle donne e l’esercizio della professione è stato esteso anche agli uomini. Infatti, oggi c’è un maggiore equilibrio, anche nella mia classe”. La legge di cui parla è la n.124 del 25 febbraio 1971: questo vuol dire che l’accesso agli uomini è stato concesso solamente da una cinquantina d’anni, che sono pochissimi se si pensa a quanti pochi passi in avanti siano stati fatti in materia di parità di genere.
Quella dell’infermiere, poi, oltre ad essere una professione che tuttora si presta a forti pregiudizi di genere, soffre anche molto il confronto con la figura del medico, che nell’immaginario comune è più valido dell’infermiere. “Fortunatamente la realtà è molto cambiata in seguito alla pandemia. Si è rivalutata molto la figura dell’infermiere come figura fondamentale accanto a quella del medico nell’assistenza e cura dei malati”, chiarisce Domenico.
“Fare l’infermiere vuol dire specializzarsi in diversi settori ed essere molto versatile: l’assistenza infermieristica non è solo di natura curativa ma anche soprattutto relazionale, di formazione e educazione. C’è bisogno di molta empatia e ci alleniamo molto per svilupparla. È un percorso difficile ma regala tante soddisfazioni sia dal punto di vista umano che professionale. È bello sapere che con un semplice gesto puoi contribuire a far star bene qualcuno”.
Un percorso, quindi, che, come al solito, ha come base l’ascolto di se stessi, l’incontro con l’altro e lo sviluppo di un carattere empatico attraverso un percorso di Coaching e Formazione.
Ma per formarsi, bisogna prima decostruire tutti i pregiudizi, sociali o di genere che siano, e aprire la mente a nuovi modi di pensare: tutti possono fare tutto, ogni professione è fondamentale e, in fin dei conti, siamo tutti indispensabili gli uni per gli altri.
Irene Centola